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Il nastro di Mobius.

Le superfici ordinarie, ossia le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati ad osservare, hanno sempre due facce, per cui è sempre possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l'altra. Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta. Solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale.

La metafora del nastro di Mobius è il punto di partenza della mia riflessione riguardo al ruolo dell’architettura nel riconcepimento degli spazi vissuti dall’uomo, alla luce di una nuova visione del mondo che li sta investendo, sotto gli occhi di tutti ma non ancora sempre riconosciuta. In un’ottica come quella attuale, non si puo’ più pensare all’architettura allo stesso modo. Non va più bene l’edificio che funziona, non va più bene destinare vaste aree alla produzione industriale, non va più bene concentrare la città urbanizzata in un punto, e circondarla di quartieri dormitorio. Bisogna oggi pensare ad una visione sistemica del tutto, in cui la città non diviene una somma di entità distinte, ma un sistema di fattori che tutti insieme la identificano, che l’architettura contribuisce ad unificare, come un nastro di Mobius che avvolge ogni luogo, in una narrazione fluida dei fatti, che attraversa gli spazi e i tempi che hanno creato ciò che è. E’ solo così che tutti quei luoghi dimenticati acquisiranno l’importanza che oggi si cela dietro ai paesaggi degradati che li inquadrano. A partire da una concezione complessa di città, come elemento variegato, espressione e manifesto delle tante dinamiche che l’hanno riguardata e la riguardano, in un’ottica in cui passato, presente e futuro hanno la stessa faccia, ogni pezzo di essa diviene fondamentale. E’ importante creare un senso di appartenenza, un’identità che faccia sentire chiunque parte di una complessità, si tratta di ricercare nell’uomo il primo motore di un ripensamento del paesaggio, nella sua concezione fisica e concettuale. E’ altrettanto importante agire in primis su quei vuoti che bucano il nastro, e spezzano la continuità del racconto, c’è bisogno di riempirli, e far parlare anche loro. L’area di studio prescelta si trova nei pressi di Pietralata, in un brano di città poco urbanizzato. Una parte di essa è da tempo sotto i riflettori a causa del problema dei rifiuti, è divenuta ormai una discarica a cielo aperto, dimenticata dalle Amministrazioni. Da qui, la risoluzione, in minima parte, del problema, sarebbe una giusta strategia per muovere verso la riqualificazione dell’area. Se, in prima battuta, il mirino è da puntare sull’uomo, al di là delle tecnologie da prevedere al fine di massimizzare i procedimenti di raccolta dei rifiuti, la chiave di svolta sta nel coinvolgere chi vivrà il luogo, rendendolo il mezzo principale ai fini della massima efficacia del progetto. L’idea è quella di prevedere un luogo per il pubblico, che attragga le persone e che dia loro importanza, e prevedendo al contempo una migliore strategia di gestione dei rifiuti. Uno spazio aperto, dotato di smart bin, che assicurino il continuo svuotamento degli stessi tramite sistemi di trasmissione dei dati, alimentati ad energia solare, spazi coperti da pannelli fotovoltaici che forniscano l’energia elettrica utilizzata dallo spazio durante le ore serali in particolare, o per la ricarica dei dispositivi elettronici. Il tutto corredato da sistemi e luoghi di informazione sulla tematica, QR codes, chatbot, schermi che trasmettono video e informazioni, come quantità di plastica presenti nei cestini, probabili oggetti da realizzare nel recupero di una determinata quantità di bottigliette, processi di riciclaggio e produzione di nuovi oggetti, e tecnologie che consentano agli utenti di proporre nuovi utilizzi dei materiali.